Politiche green e sviluppo industriale: la sfida dell’Italia all’ambientalismo ideologizzato
Ecco l’intervista rilasciata a Il Borghese
dal parlamentare europeo di Fratelli d’Italia NICOLA PROCACCINI
Copresidente del Gruppo dei Conservatori e Riformisti (ECR) del Parlamento UE
Onorevole Procaccini, lo stop UE alle auto a benzina e diesel getta un quadro allarmante per il settore dell’automotive italiano. Quanto appaiono pericolose le prospettive per un’industria che – in dieci anni – rischia di non avere abbastanza tempo di convertirsi all’elettrico?
“Partiamo dal presupposto che noi non abbiamo mai messo in discussione l’obiettivo finale della decarbonizzazione. Sosteniamo, però, che gli obiettivi dettati dalla UE debbano essere perseguiti attraverso una transizione che sia sostenibile economicamente e socialmente. Che possa, cioè, evitare conseguenze traumatiche sotto l’aspetto produttivo e occupazionale, ma anche di equilibrio sociale. Nel caso specifico, questo non può avvenire con la cancellazione di una intera filiera industriale, la componentistica dell’automotive, una vera eccellenza italiana a livello mondiale, che peraltro sta facendo grandi sforzi versa la sostenibilità. Abbandonare diesel e benzina comporterebbe la sparizione dell’85% degli attuali componenti di un’auto, un vero tracollo per l’automotive italiano e il relativo indotto, su cui si basano le economie di interi territori italiani. In base ai dati Anfia, l’Associazione che rappresenta la filiera automotive italiana, sono 2.202 imprese che operano in questo settore, con 168mila addetti e 54,3 miliardi di ricavi che generano un saldo commerciale positivo per 5,8 miliardi. L’entità del danno sarebbe evidente. La posizione di Fratelli d’Italia in Europa, in linea con quella del governo nazionale, è molto chiara e netta: la transizione energetica nel settore automotive non deve escludere il motore endotermico. E’ giusto puntare a zero emissioni di CO2 in tempi brevi, ma dev’essere lasciata la libertà agli Stati di percorrere la via che reputano più efficace e sostenibile. Oltre all’elettrico, è importante dare spazio a tutte le altre tecnologie utili per la decarbonizzazione: biocarburanti, idrogeno e altri carburanti ecologici e a basse emissioni, su cui soprattutto in Europa si sta lavorando, in base al principio della neutralità tecnologica. Non si deve chiudere a tecnologie pulite diverse dall’elettrico, il quale, tra l’altro, considerando l’intero ciclo vita di un’automobile, presenta un grado di inquinamento che viene ritenuto superiore a quello generato da un’auto a combustione interna”.
Dal punto di vista geopolitico sembra un indiretto assist a competitor – su tutti la Cina – ricchi delle terre rare necessarie per produrre motori elettrici. Può essere un gravissimo colpo auto assestatosi che rischia di metterci in una posizione secondaria nel quadro dello sviluppo mondiale del settore?
“È un rischio concreto, ma l’entità del pericolo è ben più ampia. Nella lunga e spesso folle rincorsa dell’Europa alla transizione ecologica, esiste, infatti, il rischio reale di condannare i Paesi dell’Unione a una nuova dipendenza. Nel tentativo di ottenere in un colpo solo il passaggio verso la decarbonizzazione, e quindi il definitivo abbandono in pochi anni delle fonti di energia fossili a beneficio di quelle rinnovabili, e un modello di economia e società green e quindi sostenibile sotto il profilo ambientale, la UE rischia di legarsi mani e piedi agli Stati che oggi detengono il quasi monopolio dei metalli necessari per il passaggio alle energie rinnovabili. Minerali e terre rare, essenziali per le nuove tecnologie e modalità di produzione di cui soprattutto la Cina è dotata oppure è in grado di estrarre in diverse parti del mondo. L’Italia, in particolare, rischia di correre seri problemi nella agognata rincorsa alla indipendenza energetica che è anche, e prima di tutto, un problema di indipendenza politica. E di sicurezza nazionale, naturalmente. Fondamentale è la ricerca: un comparto in cui l’Italia deve certamente investire di più. Le batterie, che sono il cuore di un’auto elettrica, sono oggi prodotte in gran parte in Cina (il 77% circa) e il vantaggio competitivo cinese è dato, appunto dal possesso delle terre rare. Ma anche dal fatto che in Cina si opera nell’assenza di tutela ambientale e sociale nei processi produttivi, una concorrenza a dir poco sleale. Aprire il mercato solo alle auto elettriche è un formidabile assist a una scelta produttiva che avvantaggia il monopolio cinese sulle materie prime».
Il suo partito, Fratelli d’Italia, si è fortemente mostrato contrario a questa nuova normativa. Ritiene possibile che il Governo Meloni possa essere decisivo all’interno del dibattito europeo per far dietrofront e procedere ad una svolta ecologica in sinergia con il mantenimento dello sviluppo industriale ed economico?
“Il rinvio della decisione su questo tema è indubbiamente frutto della ferma opposizione del governo italiano e del lavoro fatto in questi mesi dal gruppo dei Conservatori al Parlamento europeo. Le posizioni di Italia e Polonia, l’astensione della Bulgaria che hanno poi generato la grande incertezza della Germania, hanno costretto la presidenza di turno svedese della UE a posticipare la questione. Come ha detto il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, si è trattato di un successo italiano. Io stesso ho affermato che l’Italia ha aperto gli occhi all’Europa sulle pesanti conseguenze dello stop definitivo alle auto a motore endotermico entro il 2035.
A differenza di quanto avvenuto quasi sempre in questi anni, Bruxelles non poteva far finta di nulla davanti alle forti preoccupazioni espresse da diversi Stati e alle accuse di favorire l’invasione di auto cinesi, demolendo la filiera automotive, specialmente in Italia, e accentuando la dipendenza dell’Europa da materie prime e forniture extra Ue. Ora si apre tutta un’altra partita su cui è difficile fare previsioni, considerando anche che tra poco più di un anno ci saranno le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo. Ciò che però posso garantire è che Fratelli d’Italia e il gruppo dei Conservatori a Bruxelles continueranno a battersi per cambiare contenuti, tempi e modalità di attuazione di questo provvedimento”.
Negli ultimi tempi a far sentire, prepotentemente, la propria voce in tale ambito sono stati gruppi ecologisti dal forte imprinting radicale (penso ad esempio ad Ultima Generazione). Crede che le decisioni della UE possano essere state accelerate per il tentativo, da parte di alcuni gruppi politici, di assecondare e cavalcare queste proteste?
“Sarebbe grave se gruppi politici o istituzioni dessero voce a movimenti di tale genere. Voglio essere ancora più chiaro su questo punto. Con lo stop al provvedimento sulle automobili, sta saltando il tentativo della componente più ideologizzata della Commissione europea di imporre il diktat del passaggio all’elettrico, sconvolgendo l’assetto dell’industria e della mobilità Ue. La scelta dell’elettrico non può essere dettata da elementi ideologici, per assecondare un ambientalismo che non tiene conto della realtà. Cioè degli alti costi delle infrastrutture elettriche, dello smaltimento delle batterie e di come verrà prodotta l’energia elettrica necessaria. Circostanze che possono rendere un’auto elettrica più inquinante in termini di CO2 di un mezzo a combustione interna di ultima generazione. Anche in questo caso, così come nella vicenda della direttiva comunitaria green sulla riqualificazione del patrimonio immobiliare, l’istituzione europea non considera come dovrebbe l’impatto di queste decisioni sulla vita dei cittadini e sulle economie delle nazioni”.